sabato 25 dicembre 2010


Uno dei luoghi comuni più gettonati alla fine dell'estate è quello per cui il Natale arriva in un attimo. Quando poi si sta bene arriva anche più in fretta, e infatti sembra ieri che sono sbarcato in questo aeroporto dove oggi aspetto il velivolo che mi riporta a casa per le feste, ma sono già passati ben due mesi e mezzo. Nel frattempo moltissime cose sono successe, tutte molto belle, per quanto spesso faticose, come gli ultimi tre giorni ad esempio, i cui segni si accumulano in bella mostra sul mio volto. Andiamo con ordine.
Immersa in un periodo lavorativo piuttosto intenso, fra persone che vanno e persone che arrivano, nuovi progetti e l'incrollabile stakanovismo rotterdamense, ieri sera era in programma l'attesa cena di natale dello studio, preceduta da una partita a bowling. Usciti dallo studio ci muniamo dunque di biciclette e ci incamminiamo verso il locale, situato a circa mezz'ora di strada, tenendo conto di probabili ritardi dovuti ai venti centimetri di neve che fanno da cornice, come mi informa gentilmente Fleur. Aggiungiamo i meno cinque gradi di consuetudine in una notte limpida come questa, e dovrebbe essere facile immaginare come mai abbia rimpianto di non avere dei buoni guanti e delle scarpe da neve. Accidenti ai bischeri.
Conclusa la partita di bowling (ultimo in classifica), ci spostiamo al tapas bar, e quindi al pub di fronte per concludere degnamente la serata; in mezzo, due guerre di palle di neve con vari feriti lievi. Durante il bowling ci beviamo più o meno tre birre a testa, poi il vino spagnolo per la cena, e quindi ulteriori quattro o cinque birre nel dopocena. Arrivano le una di notte, orario che di norma mi vedrebbe nel mondo dei sogni da un oretta abbondante, e con il poco buon senso rimasto decidiamo di fare ritorno a casa: mica facile visto che bisogna pedalare mezz'ora, e poi lasciare la bici allo studio, visto che è in prestito e domani devo partire. Dicono che l'attività fisica aiuti a smaltire l'alcool, e che quest'ultimo non faccia sentire il freddo, ma mentre pedalavo con la sciarpa fino agli occhi, la testa che riusciva solo a concepire aggettivi per tutti i santi, mi sono convinto fermamente che siano due ciclopiche stronzate. Saluti e baci, e mi ritrovo quindi alle una e mezzo di fronte allo studio, a quaranta minuti a piedi da casa, con le estremità marmate dal freddo, e sbronzo a dovere. Fatto sta che il buon Wilco mi dimezza la strada dandomi un passaggio in bici, arranco i restanti venti minuti nella neve, e alle due di notte riesco a guadagnarmi il giaciglio.
Mattina dopo. Alle otto e mezza suona la sveglia (ho deciso che le circostanze mi consentivano di ignorare l'orario di lavoro), mi trascino in bagno convinto di essere uscito da una lavatrice, con lo stomaco che continua a vendicarsi con me esalando i suoi miasmi acidi e biliosi, e tento con poco successo di attenuare il mio aspetto da malato terminale lavandomi la faccia tumefatta. Scendo in cucina, e mentre cerco faticosamente di arrangiare un caffé mi sento chiamare dal seminterrato, dove con mio estremo disagio trovo una riunione dei miei coinquilini e del padrone di casa che è passato per riprendersi dei vestiti. Riesco solo a biascicare che ho avuto una serata impegnativa, agguanto un caffé, e saluto tutti con il miglior eloquio che il mio stato pietoso mi permette. Avrò tempo per le spiegazioni in futuro. Risalgo in camera cercando faticosamente di immaginare cosa debba ancora mettere in valigia, abbranco oggetti sparsi per la casa, li stipo nel trolley comprato dai cinesi per 12 euro (il negoziante mi aveva anche apostrofato "questa è robusta!", come dire: costa cara, ma ne vale la pena...), mi infilo sotto la doccia, e in meno di un'ora mi ritrovo seduto alla scrivania a combattere con la difficoltà di mettere a fuoco lo schermo. Poi pranzo, treno in ritardo, folla in stazione, caos, aeroporto, check-in, formalità, attesa tutto sommato piacevole sulle sedie del gate, imbarco, e finalmente il sonno che arriva a redimere la mente dalle angherie patite.
Al mio risveglio, il calore umidiccio del clima fiorentino, e quello piacevole e tanto atteso degli affetti. Buon Natale.

domenica 12 dicembre 2010

The Lampredotto connection (part 3)


E Lampredotto fu. Dopo un mezzo pomeriggio di preparazione, lavaggio, riduzione di una cucina al set di un film splatter, e quattro ore di cottura, il Lampredotto, alfiere della cucina povera fiorentina, è stato divorato con gioia e commenti entusiastici di approvazione. Segue la cronaca di un sabato all'insegna della cucina rustica.
Con gli occhi eccitati di un bambino che entra in un negozio di giocattoli, venerdì scorso Marcel mi ha annunciato l'arrivo dell'ormai mitologico Lampredotto, fissando per la sera seguente la cena tanto attesa e tanto chiaccherata. Di buon'ora mi sono quindi presentato a casa sua ieri pomeriggio, trovandolo alle prese con uno spettacolo che avrebbe turbato diversa gente: un'enorme stomaco di mucca, l'abomaso per la precisione, del peso poi appurato di 3,2 Kg, giaceva in ammollo dentro il lavandino colmandolo di un terzo abbondante. Nonostante la mia ostentata sicurezza nei confronti dell'animalesco organo, a malapena ho trattenuto i dubbi circa il da farsi, visto che mai in vita mia mi ero trovato a dovermi confrontare con un'oggetto simile, né tantomeno avevo chiaro come l'avremmo reso commestibile. Tuttavia armati di coltello, forza di volontà, e un robusto bruschino di legno, nel giro di un'oretta l'informe ammasso organico è stato redento alla pulizia, e stipato in due grosse pentole assieme a quattro carote, pomodori e altri ortaggi assortiti, per poi essere lasciato bollire la bellezza di quattro ore filate.
Alle ore 19, orario standard per la cena olandese, il Lampredotto ha fatto il suo ingresso sulla tavola di casa Jansen accompagnato dalla salsa verde lasciata nel congelatore dalla mia mamma, e dallo sguardo perplesso dei due impuberi figli di Marcel che si sono automaticamente trasferiti sul divano dicendo di essere già sazi. Per la verità in seguito si sono convinti anche loro ad assaggiare il tanto decantato piatto, dando poi parere positivo, e regalandoci dunque il successo anche nella prova da noi immaginata più ardua.
Il dado era tratto, le bottiglie di vino vuote, le facce soddisfatte e appesantite dalla grappa, alle dieci cala il sipario sulla prima olandese del Lampredotto.

lunedì 6 dicembre 2010

The Lampredotto connection (part 2)

In attesa di vedere gli sviluppi della saga del Lampredotto, ho ricevuto dei commenti riguardo alla possibilità di avviare un business in Olanda basato sulla vendita del suddetto, e posso assicurare che ci avevamo già pensato con i ragazzi dello studio, concludendo che sarebbe stato un lavoro più redditizio di quello del designer. Quindi se non doveste vedermi tornare in Italia, probabilmente sarà andata a finire così.

sabato 4 dicembre 2010

The Lampredotto connection (part 1)


Marcel mi aveva avvertito: se torni a lavorare con noi, devi prepararmi il Lampredotto. Faccio un passo indietro e spiego l'antefatto.
Due anni fa avevo raccontato a Marcel (il capo dello studio ndr) dell'esistenza di un piatto tipico di Firenze, detto appunto Lampredotto, che aveva solleticato la sua curiosità di raro esempio olandese di amante della buona cucina, e l'ha spinto a darsi da fare per procurarsi lo stomaco di mucca. Ora, dal momento che in Olanda le interiora della mucca vengono buttate via, per acquistare un esemplare del suddetto stomaco, più precisamente il quarto, si richiede di convincere un allevatore a salvarne uno durante la macellazione, e soprattutto spiegargli cosa cavolo ci se ne vuole fare.
Le promesse vanno mantenute, ed ecco che Marcel mi annuncia al mio arrivo in Olanda di aver trovato un allevatore disponibile, e che presto si farà una cena a base di Lampredotto. Arrivato il primo freddo (boia), questa settimana Marcel mi fa sapere che venerdì saremmo andati alla fattoria a prelevare il prezioso organo vaccino, per cui ieri pomeriggio di buon ora, sotto una suggestiva nevicata ci siamo recati alla fattoria in questione, armati di tutte le buone intenzioni necessarie. Devo dire che la gita mi ha dato la possibilità di vedere un pezzo di Olanda che ancora non avevo potuto apprezzare, ovvero la famiglia di allevatori che si riposa il venerdì sera attaccandosi alle bottiglie di Heineken come neonati al biberon. Nel corso della nostra visita abbiamo dovuto giustamente rispiegare il motivo di tanto interesse verso uno stomaco di bovino, con argomentazioni a mio avviso non molto comprese, come testimoniava la faccia del contadino quando ci ha detto sull'orlo dell'imbarazzo "ce lo farete assaggiare prima o poi!". Ci scommetterei la bicicletta che mentre lo diceva, dentro di sé stava pensando "ma con il cazzo che mangerei quel troiaio, poi dice che gli italiani cucinano bene...".
Ahimé la risposta del contadino alla nostra richiesta è stata purtroppo negativa in quanto, come ci ha voluto dettagliatamente illustrare, per recuperare il quarto stomaco bisogna essere abbastanza abili da agguantarlo al volo mentre le interiora della mucca cadono in un apposito buco di scarico. Durante la spiegazione ho ringraziato il cielo di essere stato a digiuno.
Fatto sta che ci ha promesso di metterlo da parte per la prossima settimana, costringendoci a rimandare la famosa cena. Stay tuned.

mercoledì 1 dicembre 2010

The piercing affair


Verrebbe da chiedersi: perchè?
Perchè avere paura degli aghi e svenire puntualmente al prelievo del sangue, se poi siamo disposti a pagare venti euro per farsi mettere un anellino in un orecchio? Per assicurarci una più prosaica risposta alla domanda, aggiungiamo una quindicina di giorni di disinfettante, infezioni, creme e mòccoli assortiti, ed ecco che l'unica risposta possibile per le anime semplici, è che sono un coglione. Avendo però più rispetto di me stesso delle suddette anime semplici, continuo a dirmi che volevo celebrare un altro periodo importante della mia vita in questo modo, con qualcosa di permanente.
Effettivamente questo avevo in mente quando dieci giorni fa mi sono presentato al negozio dei piercing, luogo per me assimilabile alle sale di tortura della santa inquisizione, per farmi aggiungere un orpello al lobo sinistro, ai più noto come orecchino. La procedura di per sé è semplice indolore, e la ragazza mi saluta raccomandandosi di lavarlo con il sapone e non toccarlo con le mani non lavate. Fino qui tutto bene, se non che dopo una settimana il tutto si è immancabilmente infettato, facendo gonfiare il mio già ipertrofico lobo fino a inglobare la pallina dell'orecchino. Quanto detto basterebbe di per sé a rendere sufficientemente ridicola la faccenda, tuttavia dopo aver tolto e rimesso l'orecchino, la situazione è ulteriormente peggiorata costringendomi a disinfettarlo più volte al giorno nei bagni dello studio, per il divertimento dei miei colleghi scevri da questo tipo di decorazioni. Per dovere di cronaca, rimettere al suo posto l'orecchino ha richiesto una sofferta mezz'ora di vani tentativi allo specchio, per poi chiedere aiuto alla mia coinquilina che con gesto tanto rapido quanto poco garbato ha risolto il problema. Ultimo capitolo della felice esperienza è stato stasera, quando sono tornato dalla signorina Torquemada per chiedere lumi, e lei, al prezzo di otto euro e ulteriore sofferenze patite, ha sostituito la pallina originale con un anello più funzionale.
Credo di poter dire con sicurezza che non vorrò più avere a che fare con i piercing.