martedì 30 agosto 2011

Il paese dei balocchi

Alle ore sette e trenta del mattino, l'inesauribile Bart trascina due casse grandi quanto lui davanti alle nostre tende, e alla grazia del risveglio Mulino Bianco ci spara a tutto volume i suoi successi preferiti, scelti fra ACDC, Rolling Stones etc. E da lì in poi è banda.
Alle nove iniziano i workshop, oggi taglio laser, che significa poter giocare con una macchina che costa quanto una berlina di fascia media, per di più con il suo rivenditore ufficiale a disposizione per non sbagliare. Ovviamente la cosa più creativa che ti viene in mente, dopo anni passati a sognare di usarne una, è la targhetta da ufficio con il tuo nome sopra, in stile rag. Fantozzi. Però già quella è una soddisfazione, e nei prossimi giorni magari avrò tempo di passare a qualcosa di più creativo tipo gli orecchini che a Firenze costano quaranta euro.
Il pomeriggio invece visita a Materialise, un'azienda di prototipazione con un migliaio di dipendenti, che sforna prototipi come le rosette del Pugi. Ci aspetta per la visita guidata un ragazzo imberbe, che non avrà più di venticinque anni e si presenta come project manager del suo settore, e conosce più cose di quante non ne abbiamo sentite in dieci anni di università. Ci fa da anfitrione per un pomeriggio di fantascienza, fra vasche di resina dalle quali escono oggetti stampati da un raggio laser, e macchine grandi quanto un appartamento a perdita d'occhio. Nell'atrio c'è un bar interno, e ai tavoli solo ragazzi poco più grandi di noi, il che mi fa pensare che a cinquant'anni in questo paese ci si organizza per la pensione, invece di prendere il posto dei propri figli. Visti i fatturati dell'azienda, che cresce di un dieci percento ogni anno, non ho il coraggio di andare a vedere su Repubblica.it a che punto siamo con la nostra riforma del lavoro. Proprio non ce la faccio, come non ce l'ho fatta a mangiare gli spaghetti bolognese ieri sera, che sapevano di poliuretano e peperoni.

lunedì 29 agosto 2011

In Belgio


Si riparte, questa volta per un soggiorno breve: sono in Belgio, a Kortrijk, ospite del Howest College per una settimana di corso estivo di prototipazione. Furbi i belgi: hanno una scuola enorme, con dei laboratori che nemmeno la Fiat, nel bosco, e organizzano i corsi estivi per far giocare i bambini poveri con i loro balocchi. E il bello è che te li fanno usare anche senza tenerli in mano loro.
La sistemazione merita di essere raccontata: arrivo verso le sei di pomeriggio, e mi viene incontro Bart, tuttofare con un braccio solo, che fa più cose di me con due, in maglietta nonostante il vento del nord. Mi dice "questo è il martello, laggiù puoi piantare la tenda, e quando hai fatto torna qui che abbiamo le salsicce sul fuoco". Sì perchè gli ospiti della scuola estiva, essendo i nordici gente di spirito, alloggiano in tenda proprio davanti all'istituto. Per cui ho sorvolato sul fatto che ci fossero dieci gradi scarsi, e ho piantato la mia tendina su due metri quadri di terra che sembrava aver preso un po' più di sole, come attestavano i funghi sui quali adesso dormo. Scuola estiva un tubo, si dorme vestiti da sci...
Per il resto, i miei compagni di corso sono una quarantina, e arrivano da tutta l'europa, con buona prevalenza tedescofona. A sentire i meticolosissimi organizzatori, che ci hanno illustrato il programma senza tralasciare nemmeno le pause caffé, in questa settimana dovremmo sperimentare tutte le meraviglie di prototipazione rapida e meno rapida che il Belgio ha da offrire: stampanti 3d, schiume, metalli, tessuti, tagli laser, stereolitografia, astronavi, e soprattutto birra dei frati trappisti. Che vivevano nei monasteri e pregavano a giornate, ma di stare al mondo se ne dovevano intendere parecchio, a sentire come gli viene la birra.

martedì 26 luglio 2011

Life changes (e meno male!).

Sei mesi, quasi. Tanto è passato da quando, valigia al traino e groppo in gola, sono tornato in Italia lasciando Rotterdam, città che considererò per sempre una seconda casa. Nel frattempo, moltissime cose sono successe, che mi rendono facile il compito di non guardarmi indietro per più di un attimo, il tempo di una nostalgia passeggera, quella che ti coglie come una fitta ogni volta che un odore, un rumore, un dettaglio qualsiasi della tua vita passata riaffiorano alla memoria, per un insondabile capriccio del cervello. Dura un istante, e poi lascia il posto ai pensieri contingenti. Onde evitare di indurre la narcolessia, riassumo gli eventi più importanti: ho cambiato casa, ho un nuovo gruppo, ho fondato un'associazione per fare ricerca.
La prima, e più importante, si illustra adeguatamente guardando questo.
La seconda si illustra invece guardando quest'altro.
Per la terza invece mi riservo di parlarne più avanti, se non altro per pura scaramanzia. Basti dire che si chiamerà TOOLife, e servirà a raccogliere finanziamenti per continuare a lavorare al nostro progetto OpenMaji.
Per restare in tema di progetto, a settembre tornerò una settimana nel fresco del nord, per un corso estivo di una scuola in belgio. Il programma prevede una settimana di corsi in laboratorio, per studiare un po' di tecniche di prototipazione. Il tutto dormendo in tenda nel campeggio della scuola, per giunta spendendo una miseria grazie all'Unione Europea. Eviterei ogni riferimento alla nostra istruzione, per puro senso del pudore.

venerdì 4 febbraio 2011

Mai guardarsi indietro

Sembra ieri. La scala mobile scende, il treno arriva, la città che si apre davanti agli occhi, il tram, i canali, le insegne così familiari, la strada con gli alberi, e infine la porta di casa, così sconosciuta e già così accogliente. Invece non era ieri, ma centoventi giorni fa, e di questi non ce n'è uno che non vorrei rivivere, non uno senza un momento di soddisfazione che ripagasse il resto della giornata, non uno che non mi lasciasse andare a letto la sera pensando con gioia a quello seguente. Ma come sempre le cose belle passano in fretta, e così stamani ho riportato la bici al negozio, raccolto i miei 35 chili di bagagli, salutato i miei coinquilini, e rivista la sequenza al contrario, come un effetto della regia: la porta di casa che si chiude, la strada con gli alberi, le insegne, i canali, il tram, la città che mi saluta e mi ricorda di essere sempre lì, il treno, la scala mobile che sale, e il sipario che si chiude. Da domani comincia un'altra storia, e nonostante la tristezza per quello che ho lasciato, non vedo l'ora.

domenica 30 gennaio 2011

Riportando tutto a casa


In tempo di valigie e preparativi, mi viene spontaneo ripensare con un po' di prospettiva ai quattro mesi trascorsi, e fare un bilancio mentale di quanto sto per riportare a casa. Dal punto di vista materiale non molto più di quanto avevo con me quando sono partito, qualche vestito nuovo, una collezione di ricordi appesi al muro in salotto, ben tre regali ricevuti dagli amici la settimana scorsa come doni di arrivederci, suppellettili varie, e qualche souvenir. Dal punto di vista dell'esperienza la lista è invece più lunga e articolata, e richiede uno sforzo di concentrazione che al momento incoraggio con del vino rosé di dubbia provenienza e dal nome evocativo "Wild Pig". Sempre più elegante di Cinghiale, comunque.
La prima posizione in classifica fra le cose che ho imparato in questo periodo spetta sicuramente alla gestione dei progetti e alla consapevolezza dei processi industriali: per essere chiari, adesso ho un idea precisa di tutto il ciclo di vita di un progetto, con una nota di rimprovero verso la mia università che non si era premurata minimamente di insegnarmelo a suo tempo, anche se so di essere ben lontano dal poter gestire un progetto della complessità di quelli per i quali ho lavorato al Waacs. Mi sono infatti reso conto in questo periodo di quanto sia importante la conoscenza di tutto il processo di progetto nel suo insieme, addirittura da poter dire che un designer ha il diritto di definirsi esperto e competitivo nella misura in cui è consapevole di questo processo, e nella misura in cui è capace di gestire progetti più o meno complessi. Al confronto di questo, saper fare bei disegni, bei render, o modellare velocemente, sono dettagli.
Al secondo posto direi di poter mettere la conoscenza di come si gestisce uno studio. Per dare un'idea della situazione, il Waacs è un'azienda composta da sette persone, stagisti esclusi, che produce un volume di circa trenta progetti all'anno, alcuni dei quali con un budget a sei cifre, per le multinazionali del calibro della Henkel e della Microsoft. I casi sono due: o questi sette sono transgenici, oppure sanno benino come si gestisce uno studio e come si fa pedalare la gente ai ritmi di Pantani in salita. Opto per la seconda, e segnalo Basecamp, una piattaforma di gestione aziendale online che permette di ottimizzare il lavoro e tenere traccia di tutto quello che succede senza produrre un solo foglio di carta. Futuristico, ma non per tutti evidentemente.
Al terzo posto ci metto la tecnica. Ho imparato a ricevere un incarico alle undici e consegnarlo renderizzato alle sei, mettendomi alla prova con la consapevolezza a posteriori che avrei potuto fare comunque qualcosa in più. Gli anglofoni lo chiamano challenge yourself, e rende bene l'idea. Ho imparato a studiare un programma in un giorno, e poi considerarlo solo uno strumento fra i tanti al servizio dell'idea, che non deve mai lasciarsi intralciare dai limiti della tecnica di cui si dispone.
Poi c'è una cosa che non rientra nella classifica, perchè troppo importante per essere inserita nel novero con le altre, ma vale più di tutte: la consapevolezza che a un metro da te c'è sempre qualcuno che avrebbe potuto fare meglio quello che hai fatto, e molto più in fretta. Fanculo a lui.
Edit: dopo essere tornato allo studio per concludere alcune cose, aver ricevuto una valutazione incoraggiante, e un cd in regalo che mi ha davvero fatto commuovere, ho capito che le amicizie sono la cosa più preziosa che si può riportare a casa. Da conservare più gelosamente di qualsiasi segreto professionale.

sabato 22 gennaio 2011

Tempeste di cervelli, bufere di idee.

Venerdì scorso ho ricevuto un regalo speciale di arrivederci dallo studio: una sessione di brainstorming sul mio progetto OpenMaji. Per chi avesse problemi con le lingue anglosassoni, il brainstorming è quella pratica di gruppo nella quale si riuniscono delle persone intorno a una parete bianca, e si discute di un certo progetto sparando più idee possibile, anche senza un nesso apparente. Il tutto è pratica comune negli ambienti dove il design è una tradizione, un po' meno a casa nostra dove ancora nelle università si tende a immaginarlo come qualcosa di appartenente a mondi ultraterreni. Questa breve spiegazione onde evitare che qualcuno pensasse a una versione esterofila del bungabunga.
Ci siamo quindi riuniti armati di birre come s'impone ogni venerdì pomeriggio, ho presentato il progetto, e quindi ci siamo dedicati per un paio d'ore a trovargli tutti i difetti e i miglioramenti possibili. Devo dire che superare l'imbarazzo nel vedere che il tuo progetto presenta dei dettagli migliorabili ha richiesto qualche minuto, ma senza dubbio la parte più importante del nostro lavoro è quella di correzione dei progetti, quindi perchè preoccuparsene? In fondo eravamo lì apposta per trovare dei difetti, e progetti senza difetti ancora non se ne sono mai visti.
Confesso che prima di iniziare mi ero sentito addosso un misto di emozioni piuttosto forti, dalla paura di non riuscire a sostenere una discussione così complessa in inglese, al timore di non spiegare chiaramente, all'eccitazione di mostrare qualcosa di mio ai miei colleghi, eccetera. Poi invece la birra e l'ambiente ormai familiare hanno fatto sì che dopo poco non mi accorgessi nemmeno più di parlare una lingua diversa dalla mia, e il tutto è andato avanti liscio e senza intoppi. Ho provato una sensazione di realizzazione a presentare i nostri otto mesi di lavoro, come quando si riportava a casa il compito delle elementari, e dopo due ore il risultato dei nostri sforzi è una parete piena di idee, sketch, battute. A breve caricherò il video riassuntivo di tutta la session, compresso adeguatamente, non temete.
Edit: il video si è dimostrato pesante come il baccalà alla livornese, decisamente troppo per il mio macbook che ha fatto il gesto dell'ombrello alla vista della mole di lavoro, per cui il racconto visivo della session è rimandato a migliori risorse informatiche. Nel frattempo posto un articolo ricevuto pochi giorni fa, circa l'importanza della autocorrezione dei progetti e delle pratiche di revisione di gruppo. Recommended.


domenica 16 gennaio 2011

Rumore di cerniere, odore di valigie


Ci risiamo. Mi sono aggrappato a ogni istante, a ogni serata con gli amici, a ogni ora passata allo studio, a tutte i chilometri in bicicletta e a quelli in tram, a ogni colazione davanti alla finestra, ma ancora una volta il momento di cambiare mi ha inseguito fino a costringermi a comprare l'odioso biglietto di ritorno. Devo dire che la decisione di tornare non è stata troppo sofferta, dato che le condizioni per restare altri mesi non c'erano, nonostante la proposta da parte dello studio. Spiegare in dettaglio il motivo per il quale non ho voluto proseguire questo periodo, peraltro meraviglioso, sarebbe inutile e oltremodo palloso, quindi evito. Basta sapere che la sera del 4 Febbraio dormirò a casa mia, a Firenze.
Fra l'altro questo rientro sta avendo un preludio se non altro curioso, da quando il ragazzo che mi ha affittato la casa è tornato e ci siamo divisi l'appartamento equamente per le ultime tre settimane. Non che la cosa sia fastidiosa, anzi, visto che lui è un'ottima persona e la casa abbastanza grande da non interferire più di tanto, ma comunque rappresenta bene o male la fine di un periodo, e come sempre si porta dietro il debito corredo di nostalgia, tristezza, ma anche la sensazione di dover sfruttare al massimo il tempo rimasto, e l'energia che ne deriva.
Sapendo che oltre questa nuova partenza si cela un rientro in Italia che sarà carico di cambiamenti e di decisioni da prendere, cerco di resistere alla tentazione di pensare a cosa farò una volta a casa, ma la forza di volontà spesso cede il passo all'istinto, e così mi ritrovo a fantasticare di grandi progetti e di iniziare un'attività di design, forte dell'esperienza che ho maturato in questi mesi. Diciamo che da persona positiva cerco di pensare che le porte quando si chiudono fanno riscontro, e il riscontro spesso ne apre altre.
Per ora comunque, mi godrò i festeggiamenti in programma per la mia partenza, la settimana di vacanza che mi sono riservato dopo la fine del contratto, e la compagnia degli amici che ho conosciuto di recente.