lunedì 29 settembre 2008

So easy to live, so hard to leave. (così facile vivere, così difficile partire)

La valigia aperta in mezzo alla stanza, infinitamente piccola come la porta agli occhi di chi sta per tirare un rigore, mi ricorda ogni momento che i tre mesi sono agli sgoccioli, e che domani un aereo concluderà questa esperienza. Mentre ripiego biancheria sporca, impacchetto oggetti di ogni genere, e raccolgo cose di cui avevo perso il ricordo, ben altri ricordi si affollano nella testa, non ancora riordinati. Di tanto in tanto passo davanti allo specchio e colgo l'occasione per guardarmi, e confrontarmi ancora una volta con quello che ero il giorno della partenza, con il risultato di non riconoscermici e constatare una volta di più che in questi tre mesi ho vissuto il cambiamento più radicale dai tempi della pubertà. In fondo ho solo vissuto per un'estate in una città non troppo lontana da casa, con persone dalle abitudini più o meno simili alle nostre, lavorando in uno studio di persone normali, e vivendo quello che tanti miei coetanei vivono anche per un anno. E allora come mai sono così sicuro di essere cambiato?

Forse perchè per la prima volta ho potuto contare solo su di me, ho conosciuto decine di persone che parlavano un'altra lingua eppure sono riuscito a stabilire dei legami, a capirne i pensieri, a condividere delle emozioni con loro. Forse perchè ho vissuto per tre mesi immerso nella diversità di razza, di religione, di pensiero, di stile di vita, eppure ho apprezzato continuamente quanto il risultato di questa mescolanza fosse piacevole. Forse perchè ho constatato quanto si possa sentirsi a casa anche in un'altra città, in un'altra strada, in un'altra casa e in un altro letto. Forse perchè sono riuscito, non senza sforzo, a perdere le mie abitudini e adattarmi a quelle di chi mi ha circondato, dal modo di vestire, a quello di mangiare, fino anche al modo di pensare. Forse la disinvoltura di chi è abituato a considerare la diversità un valore mi si è attaccata in qualche modo, e ora più che mai vedo i miei cambiamenti e le mie peculiarità come un orgoglio da esibire. Forse perchè ho passato tanto tempo con me stesso e nessun'altro, e altrettanto tempo in mezzo a un sacco di persone. Forse perchè ho messo a frutto tutto il mio tempo per la prima volta in 25 anni. Forse perchè ho passato dei momenti stupendi con persone che hanno fatto 1600 km per venire a trovarmi. Forse perchè sono riuscito a trovare qualcosa di invidiabile in ognuna delle persone che ho conosciuto, e dunque adesso mi sento diverso perchè conservo dentro di me qualcosa di tutti loro. 

Sì, dev'essere così, sono loro i miei cambiamenti, sono loro che mi porto dentro assieme ai ricordi, e dunque adesso non sono più solo Lorenzo, sono anche un po' Marcel, Chris, Willemijn, Fleur, Frank, Daniel, Harrie, le cameriere del Bazar, Peter, Isacco e Filippo, Mirte, Nils, il cantante di Nieuwe Binnenweg e la sua chitarra scordata, mr. Kampman, Jamie, Lotte, Nikki, il barista dello Iez e il turco del kapsalon, il biclettaio che mi ha venduto la bicicletta, e l'operaio che me l'ha sistemata quando sono infilato nelle verghe del tram, i ragazzi dello studio Mangrove e quelli del Rotown, l'Elena, e tutti coloro che sono venuti a trovarmi. Sono tutto questo, e se avessi tempo per pensarci adesso, scoprirei di essere anche di più. 
 
Nella valigia dunque, insieme allo strato di calzini sporchi, vestiti portati e vestiti comprati qua, domani sistemerò anche una ricca serie di ricordi impossibili da cancellare, che vanno dal sapore del mango dell'Albert Hein, al profumo dell'erba del parco e di quella dei coffeeshop, dal sapore della birra belga al rumore della dinamo tornando a casa la notte, dalla luce dei lampioni di Schouwburgsplein al sapore dei toast allo studio, dalla pioggia alle nove di mattina al sole sui grattacieli alle nove di sera, dalla musica frastornante dell'Herr Zimmermann ai capelli improbabili dei suoi avventori, dal piercing che mi porto addosso da un mese all'odore di pesce fritto del mercato il sabato mattina. Tutte queste cose, e il loro corredo di altri ricordi ad esse legate, si accumulano nella mia valigia senza prenderne lo spazio, in un enorme immagine che sarebbe confusa e indistinguibile agli occhi di chiunque, ma non ai miei che invece la trovano perfettamente chiara. Mi ci vorranno giorni per riordinarle tutte, e forse nemmeno lo farò, per non rischiare di perderne nemeno una.

mercoledì 24 settembre 2008

Mastermundo, diete, e cene d'addio...


Sabato prossimo, dopo mesi di preparativi, fra Amsterdam e Den Haag si terrà Mastermundo 2008, la prima conferenza sul design in movimento, nel senso che i vari ospiti parleranno durante il viaggio in treno appunto fra le due città. Il tutto é organizzato da Marcel Kampman, art director dello studio nonché fonte inesauribile di idee e di voglia di realizzarle, che da ormai un mesetto mi aggiorna costantemente sull'avanzamento dei preparativi, e sulle risposte ricevute dagli ospiti. Comprensibilmente ho dovuto fare affidamento sul mio miglior sorriso per comunicargli che non vi avrei preso parte, essendo questo l'ultimo sabato che trascorro a Rotterdam, dopo tre mesi nei quali ho vissuto immerso nel design, ed essendo io ansioso di celebrarlo a suon di birre. Spero abbia apprezzato la mia sincerità.

La scorsa settimana ho invece ricevuto una visita tanto inconsueta quanto gradita: il mio zio Luca. Devo dire che dopo una lunga lista di visite di amici, genitori e affetti, un week end in sua compagnia mi ha reso davvero felice, essendo state praticamente inesistenti fino ad oggi le occasioni per passare più di qualche ora insieme. Oltretutto era la prima volta che visitava l'Olanda e penso di essere stato una guida più originale dei ciceroni delle gite della Coop, quantomeno.

Martedì sera invece, ho partecipato a una cena con tutti i ragazzi dello studio organizzata in onore mio e degli altri due ragazzi in partenza. Posso dire che gli addii olandesi rendono le partenze meno tristi, soprattutto quando si consumano dietro a una muraglia di bicchieri vuoti, e finiscono all'una di notte con un gruppo di quelli che erano i miei imperturbabili colleghi, che si trascina verso casa con passo alquanto incerto. Le foto meglio delle mie parole potranno rendere l'idea di quanto sia stato felice di salutarli così, e di quanto mi mancheranno fra, ahimé, pochissimi giorni. A rendere più impegnativi i postumi della serata appena descritta, ci ha pensato una dieta intrapresa ieri a base di frutta e verdura frullate. In sostanza, per una ricerca di mercato abbiamo accettato (molto spontaneamente...) di sperimentare per 24 ore una dieta composta di soli frullati di frutta e verdura, nella misura di tre bicchieri in tutto, senza altro cibo di sorta. Potete immaginare quanto una dieta del genere sia compatibile con i postumi di una serata ad alta gradazione alcolica, e potrei suggerire che lo è quanto un elefante con una manufattura di vasi cinesi. Posso dire con orgoglio di essere sopravvissuto bene, se si trascurano gli effetti di una spremuta di carote e arance al posto della colazione, che ha caricato ogni mia manifestazione gastrica di effetti tanto imprevisti quanto spiacevoli, per le successive quattro ore. Altra iniziativa che, a modo suo, ha contribuito a rendere il mio stage un'esperienza difficile da dimenticare.

venerdì 19 settembre 2008

Dieci minuti olandesi o italiani?

Gli italiani sono tanto simpatici, la pizza più buona l’ho mangiata a Milano, c’è sempre il sole da voi, certo che Baggio era un bel giocatore, a Napoli mi hanno rubato la borsa ma che bella città, il mare in Sardegna è davvero bello, ma mai come la Cucinotta. Ah, come si dice...buònassérra seniora?

Ecco in breve descritto il bagaglio culturale che viene prontamente esibito dai cittadini europei in occasione di una conversazione con un italiano, quale che sia la loro nazionalità o estrazione sociale. A questo simpatico pot-pourri di folklore, vanno aggiunti i coloriti dettagli ben noti agli olandesi, circa le caratteristiche abitudini dei giovani turisti italiani ad Amsterdam, famosi per dimostrazioni di civiltà quali vomitare ovunque, fumare fino a svenire per strada, o fare tanta confusione da distinguersi in un viale largo come l’Arno, il tutto con una padronanza dell’inglese da mercataio di borgata. Credo sia comprensibile il mio disagio quando mi sono trovato a rappresentare per tutti i miei interlocutori questo pittoresco personaggio, e ancora più comprensibili credo siano gli sforzi profusi per distinguermi il più possibile da esso, e dagli italiani in genere.

D’altra parte, come puoi andare fiero di aver avuto i tuoi natali in Italia, quando ti trovi a lavorare all’estero e i tuoi colleghi ti chiedono candidamente perchè mai continui a governare Berlusconi, pur non avendo mai conosciuto una sola persona che dicesse di averlo votato? Vi racconto quanto segue: due sere fa ero a cena con due amici olandesi, e prima di mangiare mi imbatto, navigando su internet, nel filmato che vede il nostro presidente operaio scherzare con il suo tipico piglio da tombeur de femmes con un’avvenente atleta di scherma, nel salotto di Bruno Vespa (scusate il termine). A quel punto mi avventuro nei meandri della lingua inglese tentando una traduzione fedele per i miei curiosi amici, che peraltro non riescono a capire il senso di queste immagini. Nonostante i miei sforzi linguistici, non si capacitano di cosa c’entri il primo ministro italiano con un’atleta, meno che mai il loro affettuoso scambio di battute da Bar Sport, per giunta in un salotto televisivo dove si dovrebbe parlare di politica. Per loro, abituati a cacciare dal parlamento per razzismo fior di politici, per aver detto che l’immigrazione regolare andrebbe limitata, è troppo da capire. Ho presto compreso che era meglio virare il discorso sul design.
Giusto per supportare le mie parole con esempi concreti di quanto pervenga all'estero della nostra cultura e del nostro savoir faire, credo sia sufficiente mostrarvi un video ahimé in Italia quasi sconosciuto, che ci mostra ancora una volta il nostro presidente operaio alle prese con il parlamento europeo, in uno storico incidente diplomatico a noi brevemente descritto dalla stampa italiana come un trascurabile battibecco. Se non avete dieci minuti a disposizione potete saltare agli ultimi minuti per vedere l'intero parlamento che fischia il nostro tronfio presidente invocandone l'uscita dall'aula. Se invece siete dotati di spirito critico, cultura e possibilmente dignità umana, forse è meglio se passate direttamente ad altro.


lunedì 15 settembre 2008

@micizia: ovvero i rapporti umani a distanza, nel 2008


Proprio in questi giorni, dopo aver compiuto due mesi e mezzo dalla mia partenza, mi rendo conto guardandomi indietro di quanto l'uso di Internet possa aver cambiato non solo la società da tutti i suoi punti di vista, ma anche e soprattutto i rapporti fra le persone. Qualcuno dei lettori di questo blog obietterà legittimamente che non c'era bisogno di andare fino in Olanda per scoprirlo, ma il punto è che questo cambiamento così radicale, vivendo all'estero lo si apprezza in maniera infinitamente più vivida, solo per il fatto di trovarsi al di fuori della propria vita abituale ed essere costretti a delegare i propri contatti umani a una connessione fra computer. D'altra parte l'insieme dei miei contatti telematici, sommando i vari Msn e Skype, Facebook e Myspace, più la "vecchia" email, non sono certo un bagaglio di rapporti umani indifferente, dato che in tutto si tratta di più di trecento persone; anzi, a pensarci bene abbiamo molti più scambi umani oggi che non dieci anni fa, dato che vuoi per la moda, vuoi per la necessità, vuoi perchè al computer ci si sta tutto il giorno, quotidianamente contatto almeno una decina di persone sparse chissà dove, anche solo per sapere cosa fanno.

Certo i rapporti basati sulla rete non si possono paragonare per profondità a quelli classici, al contatto visivo e al parlare direttamente a una persona, dato che a parte la telefonata con video, per tutto il resto si tratta sempre di testo scritto e qulche immagine, ma non per questo mi sento di considerarli rapporti di serie b. Sono invece convinto, e questa esperienza me ne ha data una dimostrazione brillante, che i rapporti basati su internet siano una dimensione a sé, dove fare, ma soprattutto mantenere una conoscenza è infinitamente più semplice che nella realtà. Ecco allora che nascono queste amicizie strane, atipiche, spesso fra persone che non si sono mai viste di persona, che non sanno che odore o che modo di parlare abbia l'altro, eppure ne hanno viste le foto delle vacanze, e magari fra loro si sono confidate e raccontate più che se si fossero conosciute davvero. Perchè in fondo parlare da dietro un monitor è limitante per l'espressività, ma perdendo la componente del tete-a-tete fa sì che si perdano anche i freni inibitori che di solito si accompagnano ad essa, a tutto vantaggio dei rapporti neonati e superficiali. 

E allora forse questa Babilonia di network, di chat, di messaggi, di aggiungi agli amici (perchè una volta anche il primo approccio uomo-donna era diverso, fra sillabe inarticolate di lui e pose indifferenti di lei, e il rischio non era il rifiuto dell'amicizia su facebook, ma il mitico due di picche), è proprio quello che caratterizza la nostra generazione, la generazione erasmus, quella che ha sempre una parte di amici sparsi per il mondo, e un altra parte che nemmeno conosce di persona, ma che probabilmente rispetto ai suoi predecessori sta imparando che il mondo non è più una galassia di civiltà separate, ma un enorme minestrone nel quale restare a galla, possibilmente con una lista di amici più lunga possibile. 

venerdì 12 settembre 2008

Texel e i Frisoni

Questi che vedete qui ritratti sono due scorci delle isole Frisone, che vorrei aver scattato personalmente, ma ahimé anche questa volta non sono riuscito ad andarci e dovrò accontentarmi delle foto trovate su Flickr. Le isole Frisone del nord dell'Olanda mi attraggono per vari motivi, fra i quali la popolazione locale che è la più alta di statura del mondo, la lingua diversa dall'olandese, e la natura ancora non contaminata e riconosciuta come una delle più pure sul pianeta. Quanto basta per renderle un posto davvero attraente, peccato che finora gli ospiti del B&B Quovadisbanko non abbiano condiviso la mia curiosità al punto da organizzare una gita. Pazienza, sarà una scusa per tornare in olanda in futuro. 
A proposito di tornare in Olanda, in questi giorni sto pensando di organizzare un altro stage come quello di quest'anno per la prossima estate, e la prospettiva di tornare in questa città sfruttando magari i vari contatti che mi sono creato nel design non mi è per niente sgradevole, anzi. Questo probabilmente è solo un riflesso del fatto che l'esperienza che sto facendo finora si sia rivelata eccezionale da tutti i punti di vista, ma chissà che i miei progetti non si realizzino...
E sempre a proposito di esperienza eccezionale, sto seriamente pensando di stampare questo blog al mio ritorno in Italia, in modo da conservare qualcosa di cartaceo e fisicamente tangibile di quello che per me è diventato un diario prezioso di un periodo memorabile. A tal proposito vi segnalo il sito di Blurb, ovvero la società che ti permette di inviare il tuo blog, impaginarlo per mezzo di un loro software, e infine stamparlo e riceverlo a casa sotto forma di libro. Mica male vero?

mercoledì 10 settembre 2008

Een kapsalon, alstublieft! (un kapsalon, grazie!)


Ecco a voi, che guardate con sdegno e sufficienza (spesso giustificata) il cibo proveniente da fuori confine, sua maestà il kapsalon. Nonostante il suo nome in olandese significhi parrucchiere, quello che vi vado a presentare è nientemeno che il piatto tipico di Rotterdam, nato per caso meno di dieci anni fa da un non precisato ingegno culinario, che ebbe l'ardire di creare una vaschetta ripiena di patate fritte, carne di kebab, insalata e formaggio fuso, oltre alle varie ed eventuali salse, immancabili nella cucina turca. Dopo questa sommaria descrizione sicuramente molti di voi staranno immaginando un pasto esageratamente pingue di calorie e grassi, manufatto da chissà quali manacce luride in un baracchino sul bordo della strada, orpellato di salse indistinguibili, e servito in una vaschetta che in quanto a pulizia se la batte con il carburatore di una panda dell'89. Ebbene, il kapsalon è proprio questo, e il bello è che è anche parecchio buono.
Così come il cugino kebab, il kapsalon è diventato in poco tempo il pasto notturno per eccellenza degli abitanti di Rotterdam, perchè come è noto a tutti, dopo una nottata passata in giro per locali, con più di una birra sullo stomaco, verso le due di notte si inizia ad accusare una voglia di cibo il più possibile malsano, elaborato e indigesto, accettando senza pensarci troppo il proprio futuro prossimo che ci vedrà alle prese con una digestione tormentatissima in una lotta all'ultimo rigurgito. D'altra parte la digestione del kapsalon non deve far molta paura a nessuno, visto che per guadagnarsi uno di questi prodigi della cucina multietnica bisogna unirsi a una turba di famelici astanti, e aspettare una buona decina di minuti con i cinque euro in mano, un occhio alla bicicletta incustodita, protesi verso l'incurante paninaio turco.
Personalmente penso di poter considerare il kapsalon a buon diritto il simbolo di questa città, con le sue mescolanze apparentemente inconciliabili, le sue facce multicolori, gli incroci di razze, i suoi sapori insospettabili e la sua capacità di impastare tutto e produrre non si sa bene come, un risultato più che gradevole. Mi piacerebbe portare un kapsalon in Italia al mio ritorno, ma a parte le sembianze e la consistenza che immagino assuma dopo essersi raffreddato, sono sicuro che non avrebbe mai lo stesso sapore mangiato sulle scale di piazza Duomo invece che in Eendrachtsplein alle quattro di mattina...

lunedì 8 settembre 2008

L’impagabile brivido della soddisfazione


Devo dire che quando è nato questo blog non avevo idea di quanto estesa fosse la portata della rete, e di quante persone si possono raggiungere solo scrivendo e sfruttando qualche network come Facebook: dopo due mesi siamo a quasi duemila visite da 16 paesi nel mondo, che per me è un po’ come alzarsi la mattina, affacciarsi al balcone davanti a cinquecento persone e mettersi a fare un discorso. Mi vengono quasi i brividi a pensarci, e per scacciarli ringrazio di cuore tutti coloro i quali mi hanno manifestato il loro apprezzamento, dandomi lo stimolo per continuare.
Per riassumere in uno spazio umanamente accettabile i giorni trascorsi dall’ultimo post, potrei accennare il fatto non da poco di aver recentemente avuto i cataloghi distribuiti nelle fiere da parte di un paio di nostre aziende clienti, che recavano le immagini fatte da me in questi due mesi per i loro progetti. Era la prima volta che mi capitava, e devo dire che nonostante la grafica e l’impaginazione (da loro curata), più adatta a una confezione di supposte che a una brochure promozionale di un oggetto di design, ho provato la sensazione impagabile di aver prodotto qualcosa, e di aver tagliato un traguardo.
Per il resto la settimana trascorsa ha segnato il mio ritorno alla solitudine domestica, dopo un mese durante il quale ho ospitato una lunga lista di una decina di re magi in visita di piacere, tutti molto graditi a partire dall’Elena, i miei genitori, vari compagni Isia, amiche girellone, e infine Isacco e Filippo neo-sfrattati. Sinceramente poter passare un fine settimana all’insegna della riflessione solitaria (incoraggiato e sponsorizzato amorevolmente dal clima olandese avido di sole e generoso d’acqua e vento) mi ha fatto molto piacere per godere appieno di alcune cose delle quali potrei godere solo in solitudine. Sto parlando di cose semplici, ma indelebili per la memoria, come un pesce fritto mangiato al mercato del sabato mattina, una birra in un locale scalcinato del centro, una passeggiata in bicicletta lungo la Mosa con il sole del tardo pomeriggio in faccia, il profumo del kapsalon all’ora di cena e infine una visita al supermercato senza vincoli di tempo e di appuntamenti vari, con tutta la pace necessaria a tentare di decriptare le confezioni con fare da archeologo, nella speranza di ampliare il menu senza incappare in specialità esotiche e cineserie varie, orrifiche nella forma e putribonde nella sostanza.
Prossimante vi racconterò del kapsalon, misterioso intruglio gastronomico tipico di Rotterdam, simbolo della sua multietnìa imperante, e preda degli appetiti notturni miei e di Harrie.

mercoledì 3 settembre 2008

Mio caro bidet


Voglio dedicare le righe di oggi a un oggetto tanto comune e bistrattato in Italia, quanto introvabile, ma quantomai desiderabile all'estero. Il bidet.
Tale oggetto, mirabile esempio di come la necessità spinga la mente a concepire oggetti geniali, pur nella sua semplicità di complemento al ben più noto cesso, assolve la funzione salvifica di redimere le intimità a un'igiene adeguata e accurata. In sostanza ci si siede e ci si lava il culo.
Questo concetto, che nel nostro paese è comunemente noto dall'infanzia, ho dovuto accettare che è totalmente ignoto ai civilissimi cittadini nordici, per non parlare di quelli asiatici, meno che mai di quelli anglofoni. Di recente mi sono trovato a dover spiegare, in un inglese adeguato all'audience di architetti e ingegneri, quale sia la procedura di lavaggio che si mette in opera su tale strano complemento d'arredo, a loro del tutto sconosciuto. Ecco spiegato il perchè dei bagni microscopici senza bidet, che costringono presto o tardi ogni turista italiano ad arrembare su microlavandini altissimi, e quindi marmarsi o bollirsi le palle secondo il capriccio dell'impietoso getto d'acqua automatico.
Quando l'europa civile ed evoluta nei costumi, ma non nell'igiene personale, si renderà conto dell'immensa gioia del constatare che il proprio corpo è finalmente pulito, qualche architetto avveniristico, ecocompatibile, biotecnologico, nanotecnologico, progetterà il primo bagno olandese dotato di bidet e si aprirà una nuova era anche per gli italiani emigrati come me. Fino a quel momento, posso solo maledire la famiglia e gli affetti di colui che ha finito la carta igienica allo studio e non ce l'ha rimessa.

martedì 2 settembre 2008

Mille splendidi soli


Domenica 31 Agosto, ore 11: saluto i miei due amici Cate e Marco in partenza per Amsterdam, e mi appresto a godere di un bene che in Olanda acquista i contorni della vera e propria rarità, al pari dell’acqua in un villaggio del Sudan: il sole. Dopo una settimana di cielo grigio sono ormai convinto che la confidenza che gli olandesi hanno con questo pianeta sia talmente bassa che i bambini imparano come si chiama in terza media. D’altra parte, la differenza fra una giornata di sole e una di pioggia è talmente evidente che balza agli occhi: con il sole tutto diventa colorato, e i posti che ieri sembravano usciti da un film in bianco e nero di Welles, oggi vivono una nuova vita, a colori.
Fatto sta che oggi c’è il sole, e bisogna sfruttare la ghiotta occasione, ovviamente raccogliendo lo zaino, due panini, l’ipod e altri accessori adatti al ristoro della mente, e andando a sdraiarsi in mezzo al parco dell’Euromast. Ci passo una buona mezza giornata, immerso nel profumo della carne sui barbecue delle famiglie presenti, nelle grida dei bambini e nei miei pensieri. A metà pomeriggio, già adeguatamente tostato dal sole, una musica a tutto volume e un rumore di motori da corsa mi spingono in fondo al parco, sul porto, dove scopro con sommo piacere un raduno di auto d’epoca americane, delle quali trovate varie fotografie nell’album. Passo poco più di un’ora ad aggirarmi in questo tripudio di cromature, giacche di pelle, tatuaggi e sgommate fumanti, in compagnia di enormi ominidi che di tanto in tanto mi salutano con un “Hi, man!” facendomi sentire una comparsa di un telefilm americano anni ’70.
Rientro nella realtà con una cena in compagnia dei nuovi inquilini dell’appartamento che per mesi è stato di Isacco e Filippo, appena arrivati per un anno di erasmus. Non nascondo la mia invidia per loro, ma nemmeno la compassione per l’inverno che li aspetta, che a giudicare dall’estate deve essere tutt’altro che mite. Ovviamente questo passaggio di consegne ha comportato che i miei due compagni di avventure adesso aspettino a casa mia la partenza per l’italia insieme ai loro effetti personali, in una sorta di ritiro spirituale tutto italiano prima di scrivere la parola fine nel diario della loro esperienza all’estero.